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L’isola e quella legge senza donne

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Mi chiedo se sia ancora possibile e giusto dover combattere per l’equa rappresentanza, perché la politica sia realmente lo specchio delle nostre società e non un teatrino falsato dai giochi di potere. Quanto accaduto nelle scorse ore nell’aula del consiglio regionale sardo avrebbe del surreale, se non fosse tragicamente vero. Dopo giorni in cui gli agguati sono succeduti alla bagarre, i blitz alle polemiche, gli accordi alle pubbliche esternazioni, è stata approvata una legge elettorale a dir poco scandalosa.

E non parlo della minaccia dell’ingovernabilità, che da sola fa rabbrividire, ma di un fatto ancora più grave agli occhi di chi da sempre si occupa di divulgare la cultura dei diritti, come la sottoscritta.

Avere affossato la doppia preferenza di genere significa aver rispedito la Sardegna indietro di cent’anni, in barba all’autonomia e a quello spirito indipendentista di cui tanto andiamo fieri.

In giorni come questo ci sentiamo davvero isola, alieni in un paese che va in una direzione mentre noi percorriamo la strada della storia a ritroso. Una strada che fin qui è stata tutta in salita: in 64 anni di autonomia le donne elette nel consiglio regionale sardo sono meno di 40. Basta questo dato a gridare l’urgenza di invertire la marcia.

E invece, negli stessi giorni in cui alcuni senatori del Pd propongono una legge per far si che la doppia preferenza di genere entri nel codice genetico di ciascuna legge elettorale, la Sardegna decide che le spartizioni di potere le fanno i potenti, che, sia chiaro, restano i maschi: le donne si rivoltino pure.

Voglio però raccontare bene quanto accaduto perché anche la dinamica e’ significativa in questo triste caso di malapolitica: una settimana fa il capogruppo di “Sardegna e’ già domani”, l’ex pdl Mario Diana, propone un emendamento per abolire la possibilità di esprimere una doppia preferenza indicando due generi differenti.

Se poco prima che arrivasse la richiesta del voto segreto aveste chiesto chi fosse contrario alla rappresentanza femminile in politica avrebbero tutti sgranato gli occhi: che domanda! E invece è andata proprio così, nel segreto dell’urna la coscienza ha liberato l’ignoranza e il principio di pari opportunità previsto dalla nostra Costituzione è andato a farsi benedire.

Le donne sono insorte, gli uomini pure, è nato un acceso dibattito, con qualche colpo basso tipico del linguaggio nei social network, che, si capiva sin dalle prime battute, non ci avrebbe portato da nessuna parte. Soprattutto non ci avrebbe portato ad una soluzione.

Si trattava di trovare il modo per ripristinare un minimo di equilibrio nella rappresentanza politica, invece si è finiti a filosofeggiare sul concetto di riserve indiane e quote rosa, si è caduti nella vecchia trappola del femminismo che non libera le donne perché le protegge, le rinchiude in uno status di minoranza da tutelare.

Mentre scrivo queste riflessioni arriva la notizia che il capogruppo democratico in consiglio regionale ha presentato di nuovo la norma per garantire la preferenza di genere. Mi auguro che non si perda questa occasione per ripristinare una legge di buona politica e che non si perda tempo in verbose discussioni su quote e riserve.

Lo voglio dire a quante si sentono sminuite dalle norme di tutela delle donne: cosa ne pensate di una legge sul femminicidio? Non è discriminatorio che una donna, solo perché nata tale, non possa godere dello stesso diritto, alla cittadinanza, alla libertà, a una vita sicura e dignitosa, che ha un uomo, ma che tra quelle mani si ritrovi troppo spesso a veder passare la sua vita?

Non voler vedere come è fatta la società, su quali fragili basi culturali appoggi ancora la nostra equa rappresentanza, significa non appartenere al presente. E nel presente, purtroppo, bisogna ancora combattere.

Fonte: Europa[1]

References

  1. ^ Europa (www.europaquotidiano.it)

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