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Brasil mundial: punti di vista controcorrente

Brasil mundial: punti di vista controcorrente
È facile in queste ore gettare la croce addosso al Brasile e alla sua attuale classe dirigente. Scrivere e dichiarare – come fanno molti quotidiani nostrani - che niente funziona, tutto è corrotto e che nulla è cambiato. È persino banale ricordare a questi detrattori dell’ultima ora come, pur governando il 6° paese del pianeta per Prodotto interno lordo, nessun presidente verdeoro abbia mai ostentato che l’entrata nel “club dei grandi” significasse che il lavoro di trasformazione del Paese fosse terminato. Mai lo ha fatto il Presidente Lula e mai la neo presidenteDilma: al contrario, hanno sempre dimostrato umiltà e senso del limite per il proprio sviluppo interno, beccandosi, per converso, le accuse di autocommiserazione, eccesso di pessimismo e, in ogni caso, di pietire per ottenere i dollari dei paesi ricchi. Incorreggibili questi latinoamericani.
A ben vedere, qualche motivo per essere orgogliosi lo avrebbero pure avuto: negli ultimi 2 mandati presidenziali e mezzo – quelli maggiormente impegnati sul fronte delle politiche sociali – 35 milioni di brasiliani hanno lasciato la povertà e sono ormai classe media. Più del 50% della popolazione è definito sotto questa dizione dalle statistiche, con un 27% ancora di poveri e poco più del 20% di ricchi. 28 milioni di posti di lavoro sono stati creati in dieci anni, con un paese in sostanziale pieno impiego. Importanti investimenti in tecnologia, ricerca e innovazione stanno migliorando l’industria e l’agricoltura. Si è creata una rete di piccole e medie imprese rivolte per lo più al mercato locale e che, a breve, dovranno confrontarsi su scenari più ampi per misurare (e eventualmente migliorare) la propria competitività. Debiti in ordine e conti pubblici sotto controllo, coefficiente di Gini in costante e progressiva diminuzione completano il quadro di un “paese sull’orlo del baratro” che certa stampa vuole trasmettere.

Va tutto bene, allora?
Certo che no. Vanno migliorate la qualità della scuola pubblica e della sanità. Va messo un argine a un sistema pensionistico che, come gli economisti più accorti non hanno mancato di mettere in luce, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione rischia di andare in tilt. Va assolutamente rivisto il comparto della sicurezza e della lotta alla criminalità perché violazioni accertate dei diritti umani ci sono state e ci sono ancora. Il real è troppo apprezzato sul dollaro e questo mette a rischio la capacità di export del paese e la sua tenuta economica. Le infrastrutture sono inadeguate per il programma di accelerazione della crescita che il Brasile si è dato nell’era Lula/Dilma e per il posto che vuole avere in America latina. L’alto livello del tasso di sconto - che tiene a freno un’inflazione in aumento - penalizza per converso la crescita del Pil. Last but not least, la dipendenza dall’export di materie prime potrebbe subire un rallentamento per la minore domanda cinese e asiatica. È chiaro, quindi, che le riforme da mettere in campo saranno dure e avranno costi elevati. “Non toccheranno le politiche sociali” – ha tuttavia dichiarato la Presidente.

Che sta succedendo in Brasile?
È per tutto questo che il buon senso vorrebbe che le analisi di questi giorni avessero maggiore equilibrio. Che la buona fede guidasse le penne degli analisti. Che i testi fossero più prudenti. Perché se le parole volano via, gli scritti pesano.
E allora, che sta succedendo in Brasile? Come è possibile che l’aumento di pochi centesimi del biglietto del bus provochi tante e tali proteste? Andiamo con ordine.
Le manifestazioni pacifiche e colorate degli studenti e dei giovani – che sono la maggioranza rispetto ai soliti “idioti” che hanno commesso violenze e devastato le vetrine di banche e di negozi – sono il segnale di una conquistata stabilità politica, della tenuta democratica del sistema, del fatto che il Brasile sia ormai una democrazia compiuta dove il diritto a manifestare pacificamente è riconosciuto e tutelato. Persino condiviso dall’esecutivo, su alcuni temi.
Sono i giovani del nuovo Brasile che non si rassegnano, che vogliono un paese all’altezza delle proprie aspettative, che hanno paura che l’inflazione crescente – l’incubo del paese negli anni precedenti il risanamento economico di Fernando Henrique Cardoso – possa bruciare la speranza di accedere a una università migliore. Sono quelli che credono che i 15 miliardi di dollari che il Paese spenderà per i mondiali 2014 potessero essere meglio utilizzati per l’istruzione, la sanità, la formazione professionale, il sistema del trasporto pubblico, il risanamento e la tutela ambientale. Che hanno paura che il costo dell’evento sarà a loro carico e che a pagare il prezzo finale saranno i loro sogni e le loro ambizioni.
Le manifestazioni sono un richiamo “etico” al governo, non sono contro il governo: dicono che il paese non può ancora permettersi di giocare tra i grandi perché tanti e tali sono ancora i problemi sul tappeto. Sono un altolà alle possibili corruttele, un invito all’esecutivo a vigilare di più e meglio perché nemmeno un real entri nelle tasche del potente di turno.
L’identikit di chi fischia la Presidente Dilma, invece, è antropologicamente differente: bianco, classe medio-alta - visto che pagato almeno l’equivalente di 100 euro per vedere la seleçao,- non è un elettore di Dilma, non gli importa forse nulla della lotta alla corruzione, non prende mai i mezzi pubblici e quando può spara a zero sul governo socialista che affamerà il Paese.
No, in Brasile non è tutto perfetto.

References

  1. ^ Fonte: treccani.it (www.treccani.it)

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