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Il sì del Pd al governo del presidente. In pole position Amato e Enrico Letta - Elezione del Presidente della Repubblica 2013

Il sì del Pd al governo del presidente. In pole position Amato e Enrico Letta - Elezione del Presidente della Repubblica 2013
ROMA - "Dovete buttare quei maledetti telefonini: sono tutte cazzate quelle sul governissimo, con Napolitano non ne abbiamo parlato!". Così urlava ieri mattina Pierluigi Bersani, riferendo ai parlamentari del Pd del colloquio avuto in mattinata con il capo dello Stato. E la stessa versione la dà Angelino Alfano al cronista che lo incrocia alle otto di sera in un Transatlantico ormai deserto: "Io a palazzo Chigi come vicepremier? Se ne dicono tante, ma è prematuro. Comunque non ne abbiamo parlato". Eppure, nonostante la comprensibile prudenza dei dirigenti del Pd e del Pdl, della composizione del governo e di chi sarà chiamato a guidarlo se ne è discusso eccome.

Anzi, è stata proprio questa la condizione che Napolitano ha posto ieri mattina per l'accettazione della "croce" (così l'ha chiamata) di nuovo sulle sue spalle: "Adesso la situazione è cambiata rispetto a un mese fa. E questa volta non voglio sentire dei no ma soltanto dei sì". E visto che, fino all'ultimissimo minuto, Napolitano ha provato a insistere affinché i partiti mandassero sul Colle Giuliano Amato al posto suo, a tutti è parso chiaro quale sia il nome a cui il capo dello Stato sta pensando per l'incarico. Uno dei governatori regionali, appena sceso dal Quirinale, in Transatlantico conferma infatti che Napolitano ha chiesto a Pd e Pdl di dar vita a un governo "che duri almeno tre anni", guidato appunto da Giuliano Amato. Il programma "dei cento giorni" è quello elaborato dai dieci saggi bipartisan. E ci saranno esponenti di vertice dei partiti per garantire la tranquilla navigazione del governo in Parlamento. Si pensa infatti a Enrico Letta e Angelino Alfano come vicepremier per blindare l'accordo delle larghe intese. "Sappiamo tutti - sospira Gregorio Fontana, questore Pdl della Camera - che il nuovo governo dovrà fare subito una manovra durissima. Per cui, se durasse meno di un anno, non avremmo il tempo per risalire la china".

Se Amato è la scelta principale per palazzo Chigi, Napolitano sta riflettendo ovviamente su un piano di riserva. Da politico navigato è consapevole delle spinte centrifughe dentro il Pd, spaccato in due sull'ipotesi della grande coalizione, e teme che il nome del Dottor Sottile possa provocare una vera crisi di rigetto tale da mettere a repentaglio l'intera operazione. Tanto che i vertici del Pd per tutto il giorno si sono affannati a chiarire che "non esiste nessun governo di larghe intese", ma viene riconfermata soltanto la disponibilità a un esecutivo di scopo "con un programma limitato". Una cautela giustificata dai rumors su una imminente scissione nel partito. Nei corridoi del Parlamento si parla infatti di un gruppo di fuoriusciti democratici che dovrebbe costituirsi alla vigilia del voto di fiducia proprio per opporsi alle larghe intese e poi dar vita, insieme a Vendola e Barca, alla "nuova sinistra riformista". Per capire la dimensione del caos interno al partito basta dire che ieri sera il portavoce nazionale, Andrea Orlando, proprio nella giornata in cui Grillo ha definito "un golpe" la rielezione di Napolitano, ha clamorosamente riaperto al M5S: "I grillini dicevano che Bersani era l'ostacolo alla possibilità di ragionare su una loro presenza nella maggioranza di governo. Ora che Bersani non c'è più - ha dichiarato a "In Onda" - ci dicano se sono disponibili a dare un governo a questo Paese".

Per evitare questa diaspora o quantomeno ridurne la portata, Napolitano starebbe quindi valutando delle ipotesi subordinate. Come quella di affidare l'incarico a una personalità politicamente più digeribile, ma sempre di area centrosinistra: Pietro Grasso. Il presidente del Senato, eletto con il Pd e più "fresco" come immagine, avrebbe l'ulteriore vantaggio di liberare la seconda carica dello Stato a vantaggio di un esponente del Pdl. Già, perché se i problemi principali per la formazione di un esecutivo di larghe intese o di scopo provengono dal Pd, anche il sì del Pdl non deve essere dato per scontato.

Nella riunione avuta in serata con i dirigenti del partito, il Cavaliere ha infatti espresso più dubbi che certezze: "Ci sono ancora troppe divergenze su alcuni problemi importanti, come l'Imu e la giustizia". Insomma, non è detto che a Berlusconi non convenga a questo punto, ottenuta la riconferma di Napolitano al Colle, puntare dritto alle elezioni anticipate forte dei sondaggi favorevoli. "Questi giovani che il Pd ha portato in Parlamento - osserva Maurizio Gasparri - sono imbevuti di un antiberlusconismo viscerale. È la loro ideologia, quella che ha sostituito il marxismo, e su queste basi è difficile collaborare". Lo scetticismo sul governo del Presidente è diffuso. Anche se a presiederlo venisse chiamato direttamente un esponente democratico come Enrico Letta, con Alfano come vice. I giovani turchi, è la voce che rimbalza dal Nazareno, hanno già fatto sapere che non vogliono Letta né come reggente del partito né come capo del governo.

C'è poi la questione della Lega, di cui Berlusconi deve tenere conto. Roberto Maroni, accompagnato da Roberto Calderoli, è andato a pranzo sabato con Daniele Marantelli, il deputato democratico che tiene i rapporti con il Carroccio. I due leghisti hanno spiegato chiaramente all'ambasciatore Pd che su un governo Amato non ci potranno stare "mai e poi mai". E anche nell'ipotesi di un esecutivo presieduto da Enrico Letta o da un altra personalità scelta da Napolitano, la Lega darà la fiducia ma poi se ne resterà fuori: "Non entreremo con nessuno dei nostri". Questa ostilità del Carroccio verso Amato è una pregiudiziale che al Pd può tornare in realtà molto utile. Se infatti Amato, che spacca i gruppi Pd, venisse fatto fuori dal veto di Maroni, i democratici potrebbero trarre un sospiro di sollievo e passare oltre. Ma al momento queste sono tutte congetture visto che, come fa notare un autorevole esponente del Nazareno, "con il Pd in queste condizioni comatose la verità è che nessuno di noi è in grado di dettare condizioni al capo dello Stato".

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