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La pastorale americana | Partito Democratico

La pastorale americana | Partito Democratico
IN UN vecchio film di Woody Allen, “Il dittatore dello stato libero di
Bananas”, si raccontano le vicende rocambolesche di un rivoluzionario
animato da un ideale di purezza che combatte l’ingiustizia della
dittatura in nome della libertà e che finisce per indossare i panni di
un tiranno identico a quello che aveva combattuto. Ogni rivoluzione, ripeteva Lacan agli studenti del ’68, tende a
ritornare al punto di partenza e la storia ce ne ha dato continue e
drammatiche conferme.Anche Grillo si caratterizza per essere animato da quel fantasma di
purezza che accompagna tutti i rivoluzionari più fondamentalisti. Egli
proclama a gran voce la sua diversità assoluta dagli impuri: si colloca
con forza fuori dal sistema, fuori dalle istituzioni, fuori dai circuiti
mediatici, fuori da ogni gestione partitocratica del potere.È il fantasma che troviamo al centro della vita psicologica degli
adolescenti. Si riguardi la recente consultazione di Bersani con i
rappresentanti del M5S. È il dialogo tra un padre in chiara difficoltà e
due figli in piena rivendicazione protestataria. Mi è subito venuto
alla mente ‘Pastorale americana’di Philip Roth dove si racconta la storia tormentata del rapporto tra un
padre – il mitico “svedese” – e una figlia ribelle, balbuziente, prima
aderente ad una banda di terroristi e poi di una setta religiosa che
obbliga a portare una mascherina sul viso per non uccidere i
microrganismi che popolano l’aria. Da una parte gli sforzi di
conciliazione di un padre che non nasconde la sua insufficienza,
dall’altra l’arroganza irresponsabile di chi rivendica il possesso di
una ragione assoluta. Il dialogo tra loro è impossibile. Il padre cerca
di capire dove ha sbagliato e cosa può fare per cambiare la situazione,
la figlia risponde dall’alto della sua innocenza: sei tu che mi hai
messa al mondo non io; sei tu che hai creato questa situazione non io;
sei tu che devi porvi rimedio non io. Così agisce infatti la critica
sterile dell’adolescente rivoltoso nei confronti dei propri genitori. Il
mondo degli adulti è falso e impuro e merita solo di essere cancellato.
Ma quale mondo è possibile in alternativa? E, soprattutto, come
costruirlo? Qui il fondamentalismo adolescenziale si ritira. La sua
critica è impotente perché non è in grado di generare davvero un mondo
diverso. Può solo chiamarsi fuori dalle responsabilità che scarica
integralmente sull’Altro ribadendo la sua innocenza incontaminata.Questo fantasma di purezza che ha origini in una fissazione
adolescenziale della vita si trova anche a fondamento di tutte le
leadership totalitarie (non di quella berlusconiana che gioca invece sul
potere di attrazione della trasgressione perversa della Legge). E
sappiamo bene dove esso conduce, o può condurre.Lo stato mentale di un movimento o di un partito si misura sempre dal
modo in cui sa accogliere la dissidenza interna. Sa tenerne conto,
valorizzarla, integrarla o agisce solo tramite meccanismi espulsivi? Sa
garantire il diritto di parola, di obiezione, di opinione personale
oppure procede eliminando l’anomalia, estromettendola con forza? Grillo
non ha esitazioni da questo punto di vista. Egli applica il regolamento
escludendo l’“eccezione” secondo il più puro spirito collettivistico.
Salvo però ribadire la propria posizione personale di “eccezione”. Le
sue enunciazioni sono singolari, non vengono discusse prima, mentre
quelle dei suoi adepti devono essere vagliate prima dalla democrazia
assoluta della Rete. Si proibisce che ciascuno parli e pensi con la
propria testa, si esige una sorveglianza su ogni rappresentante eletto
perché non si stacchi dalle decisionicondivise, ma l’aggressione al Manifesto con il quale alcuni
intellettuali si rivolgevano con speranza al M5S chiedendo che
dialogasse con il centro sinistra o la minaccia di revocare l’articolo
67 della Costituzione sulla libertà di pensiero dei nostri nuovi
rappresentanti parlamentari sono state prese di posizione discusse
democraticamente? Come può essere credibile in fatto di democrazia un
movimento che attribuisce al suo leader il ruolo di incarnare una
eccezione assoluta? Il culto demagogico della trasparenza nasconde
questa presenza antidemocratica di un potere incondizionato. Se l’azione
politica è la pazienza della traduzione, se non ammette tempi brevi,
non contempla l’agire di Uno solo, il nuovo leader inneggia
all’antipolitica come possibilità di avere una sola lingua – la sua –
che non è necessario tradurre, ma solo applicare. Come non vedere che
c’è un paradosso evidente tra l’esigenza che nessuno parli a partire
dalla sua testa e l’esistenza di un leader anarcoide che resta esterno
al movimento che ha fondato e che esercita il suo diritto di parola in
modo arbitrario? Egli è nella posizione del padre dell’orda di cui parla
Freud in Totem e tabù.Una strana mescolanza di anarchia e tirannide sulla quale Pasolini avrebbe speso parole di fuoco.Un leader degno di questo nome lavora alla sua successione dal momento
del suo insediamento mantenendo il movimento che rappresenta il più
autonomo possibile dalla sua figura. Prepara cioè le condizioni di una
eredità. Tutto ciò diventa di difficile soluzione quando un movimento
non ha storia, non ha padri, ma un genitore vivo e vegeto che rivendica
il diritto di proprietà sulla sua creatura. “Io ti ho fatta e io ti
disfo”; così una madre psicotica ammoniva una mia paziente terrorizzata.
Una leadership democratica deve sempre rispondere al criterio paterno
di una responsabilità senza diritto di proprietà. Si pensi invece alla
reazione di Casaleggio all’indomani delle elezioni quando disse che se
il movimento non avesse adottato certe sue indicazioni di comportamento,
non avrebbe preteso nulla e se ne sarebbe andato. Ecco la minaccia più
narcisistica che un fondatore può fare: io starò con te finché tu mi
assomiglierai, finché mi riprodurrai; se tu assumerai un tuo volto, una
tua originalità io non ne vorrò più sapere di te e me ne andrò.Il pluralismo è temuto da Grillo come da tutti i leader autoritari. Il
sogno di un consenso al 100 per 100 è un sintomo eloquente. Era il sogno
degli uomini di Babele mentre sferravano il loro attacco delirante al
cielo, la loro sfida a Dio: un solo popolo, una sola lingua. No, le cose
umane non vanno così. Dio sparpaglia sulla faccia della terra quella
moltitudine esaltata obbligandola alla differenza, al pluralismo delle
lingue, esigendo la pazienza della traduzione. Esistono in democrazia
più lingue e ciascuna ha diritto di manifestarsi e di essere ascoltata.
Guai se il fantasma di purezza si realizzasse al cento per cento. Lo
ricorda giustamente Roberto Esposito: una democrazia che si realizzasse
compiutamente sarebbe morta, annullerebbe tutte le differenze nel corpo
compatto della “volontà generale”, darebbe luogo ad una tirannide.

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