Partito Democratico: evoluzione o involuzione?
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- Pubblicato Domenica, 10 Marzo 2013 21:09
di Giuseppe Ciraolo in collaborazione con Andrea Sarao
A poco tempo dalle elezioni Politiche più incerte della storia repubblicana, è tempo di considerazioni nel centrosinistra italiano. A prescindere dall’attuale legge elettorale, ideata per l’ingovernabilità, per il Partito Democratico e la coalizione Italia Bene Comune guidata da Pierluigi Bersani, questa tornata elettorale è stata una vittoria di Pirro, per non dire un clamoroso fallimento. Difatti, il centrosinistra ha “vinto” con il 29,54% dei voti, ovvero con appena lo 0,36% in più dell’armata Brancaleone guidata da Silvio Berlusconi; ma se consideriamo le prestazioni ottenute dai singoli partiti allora il PD risulta addirittura secondo, superato dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo (25,42% dei democratici contro il 25,55% dei “grillini”). Il fatto che tre forze abbiano ottenuto percentuali così vicine, abbinate ad un sistema proporzionale con modalità di assegnazione dei seggi diverse tra Camera e Senato, ha determinato un Parlamento frammentatissimo, nel quale sarà un duro compito anche trovare una maggioranza per un Governo di transizione che realizzi le riforme necessarie (tra cui si auspica una legge elettorale maggioritaria). Tralasciando per ora le ipotesi riguardanti gli scenari parlamentari futuri, ci vorremmo soffermare su quelle che, secondo noi, sono le cause che hanno determinato il sostanziale flop del Partito Democratico. Prima di tutto vale la pena di sottolineare che il risultato elettorale del PD è da considerarsi negativo principalmente per due motivi :
Il grande calo dei consensi rispetto alle elezioni politiche del 2008, dove il PD guidato dall’ex-Sindaco di Roma Walter Veltroni, ottenne il 33,17%, mentre la coalizione di centrosinistra formata dai democratici (che nelle loro liste candidavano esponenti del Partito Radicale) e l’IDV di Antonio Di Pietro otteneva in tutto un ottimo 37,54%. Per cui il PD ha perso da solo ben il 7,75% mentre la coalizione “progressista” arretra di 8 punti precisi. Il PD partiva da favorito, dopo le primarie i principali sondaggisti lo valutavano tra il 34% ed il 36%. Come è stato possibile disperdere un tale patrimonio in termini di voti?
Cercando di rispondere a questa domanda, analizzeremo le cause di questo pessimo risultato esprimendo le nostre opinioni su come il PD debba evolversi in futuro…
PRIMARIE : Le elezioni per scegliere il candidato premier del centrosinistra sono state allo stesso tempo una festa della democrazia ed un triste spettacolo della partitocrazia. Da un lato, la candidatura del Sindaco di Firenze Matteo Renzi, ha accresciuto notevolmente l’interesse nei confronti delle primarie sia per aver portato una nuova idea di riformismo (vicina al liberalismo della “Terza Via” ideata da Bill Clinton ma ispirandosi anche al neokeynesianismo in chiave liberal di Barack Obama) sia perché ha avuto il merito di indirizzare il dibattito politico sulle idee, sui programmi e le diverse concezioni di Società e di Stato a discapito dei soliti conflitti tra correnti e personalità circoscritti ai palazzi del potere ed alle segreterie di partito. Dall’altro lato, la classe dirigente del PD, a prescindere dalla propria area di appartenenza politica (scandaloso il non-appoggio a Renzi da parte di Veltroni, di molti ex-Margherita e del Liberal PD) spaventata da questo vento di rinnovamento, ha dato, a dispetto del nome, un pessimo esempio di democraticismo, facendo quadrato intorno a Bersani e modificando le regole a primarie in corso ottenendo poi un risultato pilotato a discapito di Renzi.
In questo senso va interpretata l’introduzione di un albo degli elettori di centrosinistra preregistrati, fatto grave e del quale il PD paga oggi le conseguenze, avendo chiuso la porta a nuovi elettori. Altra modifica del regolamento, l’esclusione dal voto dei 16-17enni, ammessi in tutte le precedenti primarie, e che, secondo i sondaggisti, avrebbero votato proprio per Matteo Renzi. A seguito delle primarie per il leader di coalizione, si sono tenute quelle per l’elezione dei candidati al Parlamento, organizzate in fretta e senza una adeguata promozione. Per cui, se in quelle per le leadership, c’era stato un dibattito serrato ma stimolante, nelle “parlamentarie” l’opinione pubblica ha (giustamente) percepito solo una mobilitazione di apparato per eleggere i candidati più in linea con i piani alti del partito. Non a caso, per molti renziani è stata una disfatta.
CAMPAGNA ELETTORALE: Totalmente sbagliata, la peggiore insieme a quella di Scelta Civica di Monti. Innanzitutto per il repentino cambio di toni durante e dopo le primarie. Finché Renzi era in corsa per la leadership del centrosinistra, i vertici del PD hanno alternato alla sobrietà ed alla pacatezza di Bersani, l’aggressività, spesso sfociata in attacchi personali nei confronti del Sindaco di Firenze e dei suoi sostenitori; come dimenticare l’inquietante dichiarazione dell’allora Presidente del COPASIR Massimo D’Alema, “Renzi si farà del male”. Successivamente, archiviato il secondo turno di votazioni con la vittoria di Bersani, al PD rimane solo la pacatezza, una pacatezza che diventa negligenza nel momento in cui non riesce a contrastare gli attacchi e le “proposte” di Silvio Berlusconi e Beppe Grillo.
Nel corso dei mesi si ha avuto infatti sempre più l’impressione che la campagna denominata “L’Italia giusta” si sia rivolta esclusivamente al proprio elettorato di riferimento, confermando la tendenza all’elitarismo di una certa sinistra italiana, per cui agli elettori indecisi non è mai stata chiarita davvero la vicenda MPS, non è mai stato loro spiegato che il programma economico di Grillo è insostenibile, che la restituzione dell’IMU, trovata berlusconiana, oltre a favorire i super-ricchi è anche incompatibile con il bilancio semestrale richiesto dal fiscal compact (il quale comprende l’obbligo di mantenere il deficit pubblico sempre al di sotto del 3% del PIL) e non si è fatta nemmeno luce sul rapporto con la coalizione centrista di Mario Monti, finendo per dare forza alla tesi berlusconiana di un accordo post-elettorale non troppo corretto nei confronti degli elettori, visto che Bersani e Monti si facevano portatori di programmi molto diversi. Anche i mezzi sono stati male impiegati, con un Bersani in affanno in tutte le modalità, nelle piazze, dove il Movimento 5 Stelle ha fatto il “tutto esaurito” contro un PD che ha preferito ripiegare nei teatri, e nelle televisioni, dove Silvio Berlusconi ha dimostrato ancora una volta (a partire dalla pagliacciata andata in onda a Servizio Pubblico di Michele Santoro) di esserne il re incontrastato (D’altro canto, secondo molti opinionisti, il PD perdeva elettori, soprattutto moderati, ad ogni apparizione televisiva di Stefano Fassina).
Altro limite, la tempistica, ovvero la campagna elettorale di Bersani è partita troppo presto e nel corso del tempo si è sbiadita limitandosi cercare di amministrare il vantaggio, come il leader di un GP di Formula 1 con le gomme al limite negli ultimi giri. A poco è valso l’impegno nelle ultime settimane di Renzi, al quale, non essendo direttamente candidato, e difendendo un programma che non gli apparteneva (e al quale ne aveva contrapposto uno molto diverso durante le primarie), non si potevano certo chiedere miracoli.
PROGRAMMA: Abbastanza vago e contraddittorio, in particolar modo sull’economia: assodato che il responsabile economico Stefano Fassina fosse contrario alle politiche di austerity adottate dall’UE, non è mai stato chiaro che diverse strategie volesse adottare se non una generica diminuzione della pressione fiscale (con quale copertura? La solita lotta all’evasione?) ed un aumento della spesa al fine di creare nuovi posti di lavoro (ad esempio con nuove opere pubbliche, un po’ in stile New Deal degli anni ’30) e soddisfare la domanda interna, ovvero nulla di nuovo rispetto alle vecchie ricette socialdemocratiche anni ’70. Sempre in economia, non è stato dato nessun segnale di riformismo, per cui non si è parlato ne di liberalizzazioni ne di privatizzazioni e inoltre il PD è sembrato troppo subalterno alle direttive della CGIL in materia del mercato del lavoro, dimostrando di privilegiare ancora il mito del posto fisso a discapito della meritocrazia e della flessibilità e inoltre a spaventare gli elettori liberali e moderati hanno provveduto le proposte del limite di spesa in contante a 500 euro e la famigerata tassa patrimoniale.
Troppo silenzio anche sulle riforme istituzionali, sulle energie rinnovabili, la politica estera, l’istruzione, la ricerca e la sanità; mentre solo ora che si cercano consensi tra i Grillini i democratici parlano più convintamente di taglio ai costi della politica e di ridimensionamento al finanziamento pubblico ai partiti. I temi su cui Bersani ha puntato di più in campagna sono stati infatti i diritti civili, con la proposta di una legge sulle unioni gay sul modello tedesco e sulla cittadinanza agli immigrati minorenni nati o residenti in Italia secondo lo “ius soli”, evidentemente, queste proposte, anche se ragionevoli e condivisibili, non sono state percepite come prioritarie da un elettorato molto più preoccupato dalla recessione e dalla disoccupazione.
RAPPORTO CON GLI AVVERSARI: Arrendevole su tutti i fronti eccetto a sinistra, difatti gli appelli condotti principalmente da Matteo Renzi al voto utile sono stati efficaci nell’arginare Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia (che anche non eleggendo nessun parlamentare, supera comunque i 750’000 voti alla Camera pari al 2,25%), un progetto politico che ad ogni modo presentava palesi difficoltà a muoversi nel terreno del populismo e dell’antipolitica occupato già da Grillo. Nella stessa ottica va interpretato il risultato di SEL (vittima prediletta degli avversari che consideravano la lista del Governatore pugliese, Nicky Vendola, come un fattore di instabilità e un ostacolo al dialogo per le riforme con le forze moderate), ferma ad un modesto 3,20%.
Ad ogni modo, Il duplice fallimento di Vendola come di Ingroia rientra nella tendenza all’estinzione dei partiti identitari che sempre più lasciano spazio ai partiti programmatici che racchiudono in sé diverse anime unite da medesimi obiettivi e finalità concrete. Arginata l’emorragia dell’elettorato più marcatamente di sinistra, il PD ha invece perso voti in favore del Movimento 5 Stelle, reo di aver fagocitato l’elettorato dell’Italia dei Valori ed aver attirato anche un considerevole numero di democratici delusi (i maggiori sondaggisti attribuiscono infatti al centrosinistra l’area di maggior provenienza degli elettori Grillini). Beppe Grillo difatti, non ha solo riempito la piazza di San Giovanni a Roma, conquistando simbolicamente una ex-roccaforte del progressismo, ma si è anche sostituito alla sinistra, oltre che nelle piazze, nei luoghi dove più si annidano il disagio sociale e la disperazione figlie di questa crisi, come l’ILVA di Taranto. Per quanto riguarda il rapporto con il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, il PD è passato dalle posizioni di rincalzo delle campagne elettorali precedenti alla sottovalutazione di questi mesi. Per cui, se nel ventennio berlusconiano il centrosinistra era, molto spesso a prescindere, contrario alle proposte del Cavaliere (no al Presidenzialismo, no al federalismo fiscale, no alla riforma della giustizia, no al ponte sullo stretto ecc…), nelle elezioni 2013, Bersani e co, hanno deciso erroneamente di snobbare l’ex-Premier, non contrastando a dovere le sue proposte (una fra tutte, il sopracitato e celeberrimo rimborso dell’IMU) ritenendolo un avversario già sconfitto.
Errore fatale, anche perché Berlusconi è riuscito a convincere molti elettori della veridicità dell’accordo Bersani-Monti dopo le elezioni, mettendo in evidenza i contrasti tra i rispettivi programmi e quindi l’impossibilità di accordarsi per le radicali riforme di cui il Paese necessita. Dobbiamo infatti ripeterci che la nostra identità non è un’identità sostanzia statica come dire “assicurata dall’origine alla fine”, ma è una identità dinamica che noi, di volta in volta, ricostruiamo biograficamente e che ha a che fare con la nostra capacità di volta in volta di scegliere, di scegliere una cosa anziché un’altra, di cambiare, di farci contaminare anche dalle identità altrui, diverse , ed è quello che il Partito Democratico deve ricominciare a fare.
L’impressione è che la sinistra ha un problema di posizionamento quando il gioco si fa duro, perché non riesce a cavalcare i cambiamenti che auspica, i movimenti che accende e non riesce a interpretare bene le svolte del paese. Sembra quasi che la sinistra italiana riesca solo a muoversi sul piano dello status quo. Queste ragioni ci hanno fatto andare incontro ad una clamorosa e cocente sconfitta elettorale e politica della sinistra italiana ben peggiore di quella del 1994.
http://luniversale.it/2013/03/09/partito-democratico-evoluzione-o-involuzione/
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