L'Opinione delle Libertà
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- Pubblicato Venerdì, 01 Marzo 2013 00:13
01 marzo 2013EDITORIALI
Non è solo un insulto l'epiteto di “morto che cammina” lanciato da Beppe Grillo a Pierluigi Bersani in risposta alle alle proposte di alleanza avanzate dal segretario del Pd al Movimento Cinque Stelle. Dietro l'insulto c'è una precisa strategia politica. Che esclude qualsiasi ipotesi di agganciamento parlamentare del carro dei “grillini” alla locomotiva della sinistra tradizionale. E che punta fin troppo apertamente a fare in modo che la situazione di ingovernabilità scaturita dal voto di domenica scorsa sfoci nel minor tempo possibile in nuove elezioni politiche. Grillo, in sostanza, è consapevole che l'onda di rabbia e preoccupazione che ha proiettato il proprio movimento al vertice della scena politica nazionale non potrà durare all'infinito. È anche cosciente che nel momento in cui i suoi “ grillini” entreranno in Parlamento saranno oggetto di ogni genere di allettamenti e tentazioni da parte soprattutto del Partito Democratico impegnato nella ricerca disperata dei voti necessari per tenere in piedi un possibile governo Bersani. Sa bene, inoltre, che se vuole approfittare al massimo dell'occasione favorevole e bloccare sul nascere ogni eventuale diaspora verso il Pd della propria rappresentanza parlamentare è obbligato a confermare e rafforzare il ruolo di forza antagonista ed alternativa al vecchio sistema politico che fino ad ora ha fatto la fortuna del Movimento Cinque Stelle.
Il tutto nell'obbiettivo di impedire la normalizzazione della legislatura e di andare al più presto a nuove elezioni nella speranza di mandare definitivamente al macero tutte le altre forze politiche tradizionali, Pd ovviamente compreso. Bersani, ma soprattutto i suoi più stretti collaboratori, appaiono convinti di poter fronteggiare la strategia di Grillo puntando sulle inevitabile sfrangiature che si verificheranno tra i “grillini” neofiti di Montecitorio e Palazzo Madama. Il loro obbiettivo dichiarato è spaccare i gruppi parlamentari del Movimento Cinque Stelle. Nessuno di loro, però, sembra rendersi conto che il pericolo di una lacerazione drammatica stia incominciando a gravare più sul Pd che sul partito di Beppe Grillo. Gli amici di Matteo Renzi si sono già messi in movimento e contestano apertamente il segretario colpevole di aver perso elezioni che sembravano vinte in partenza. E rimproverano a Bersani ed ai suoi “giovani turchi” e “vecchi satrapi” di non aver voluto aprire il Pd ai delusi del centrodestra ed agli altri elettori provenienti da esperienze diverse dal blocco post-comunista-Cgil-cooperative rosse. Sul fronte opposto Nichi Vendola si fa promotore dell'alleanza ad ogni costo con Grillo nella speranza di recuperare lo spazio ed il ruolo perduti nella partita elettorale.
Ed al suo fianco si schierano pezzi importanti del partito nella convinzione che buona parte dell'elettorato del Pd, almeno quello di tradizione post-comunista, non voglia altro che affidarsi a Grillo e fare una qualche forma di rivoluzione post-sessantottina o neocastrista. Chi si spaccherà per primo, allora? Il Movimento Cinque Stelle, che al momento vola sull'onda della vittoria elettorale ? O un Partito Democratico che invece sembra essere tirato a fondo dal risucchio di una vittoria fallita vissuta come amara ed irreversibile sconfitta? Nessuno è in grado di dare una risposta netta a questo interrogativo. Di certo, però, basta una domanda del genere per porre la questione se un partito su cui grava il rischio di lacerazione possa assumere la responsabilità di guidare il paese. Napolitano, che in Germania ha confermato di interpretare al meglio il ruolo di Presidente della Repubblica, non può non tenere conto di una questione di tale importanza, che sembra fatta apposta per escludere la possibilità di un incarico di formare il governo ad un Bersani a rischio di frana interna.