Faida alla Fed per l'anima del partito democratico
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- Pubblicato Martedì, 17 Settembre 2013 00:08
Dollaro più debole dopo l’annuncio del ritiro della candidatura di Lawrence “Larry” Summers alla guida della Federal Reserve, ma titoli di borsa in rialzo. La moneta americana risente evidentemente del momento di incertezza nelle piazze internazionali che questa notizia alimenta, ma non il mercato interno, che «preferisce la dottoressa Yellen perché rappresenterebbe una continuazione senza scosse delle politiche in corso», come dichiara all’agenzia Bloomberg lo stratega finanziario Phil Orlando. Con il mercato, brindano anche liberal e mondo femminista, che tifano adesso con più forza per la nomina di Janet Yellen.
Interessante, questa sintonia tra mercato e sinistra, contro il vulcanico e controverso Summers e a favore della pacata e tenace Janet Yellen. Bizzarra ma non sorprendente. Larry Summers, il candidato che godeva del forte appoggio di Barack Obama, per la sostituzione di Ben Bernanke come chairman of the board della banca centrale americana, è per molti l’indiziato numero uno della crisi finanziaria, per via delle politiche di deregulation dei derivati avviate all’epoca in cui era segretario al tesoro nell’amministrazione Clinton, ma anche per le sue amicizie con i poteri forti di Wall Street.
Infatti, a mettere la parola fine alle sue ambizioni è stato un senatore democratico del Montana, Jon Tester, che con una dichiarazione ha chiarito il tono di quello che sarebbe diventato un esame impossibile da superare, per Summers, nell’audizione di conferma al senato. Tester, che rappresenta gli interessi delle comunità rurali e delle piccole banche, si è detto preoccupato «per la storia di Summers, che ha contribuito alla deregulation dei mercati finanziari». Sulla stessa linea altri tre senatori liberal membri della commissione finanze del senato, chiamata ad approvare la nomina del successore di Bernanke: Jeff Merkley, Sherrod Brown ed Elizabeth Warren.
Incrocio fatale, questo tra Summers e Warren. Warren insegnava alla facoltà di legge di Harvard, quando Summers era il presidente dell’ateneo. Presidente contestato e costretto alle dimissioni dopo una serie di uscite infelici, l’ultima sull’inadeguatezza delle donne a ricoprire incarichi di rilievo in campo scientifico, che lo costrinse a lasciare l’incarico. Allora Warren non si schierò con i docenti favorevoli alle dimissioni di Summers. Ma non ne fu per questo ripagata. Quando Summers divenne il principale consigliere economico di Obama, volle l’istituzione di un ente per la tutela dei consumatori, un’idea a lungo coltivata da Warren, che sarebbe stata perfetta per dirigerlo. Ma fu Summers a bloccarne la nomina. Una ferita che ha contribuito a schierare in prima linea Liz Warren contro Summers e battersi per la nomina della sessantasettenne Janet Yellen.
Così per una strana concatenazione di eventi, la designazione del nuovo banchiere centrale americano – il più importante leader finanziario al mondo – è diventata anche una scelta tra un maschio misogino, che ha addosso l’etichetta di amico di Wall Street, e una donna, sostenuta con grande forza dal mondo femminista, che ha anche fama di economista attenta alle fasce più deboli della popolazione e che ha sempre contrastato le spericolate acrobazie finanziarie degli scorsi due decenni.
Così, quando Summers ha gettato la spugna, Shaunna Thomas, cofondatrice di Ultraviolet, un comitato che si batte per i diritti delle donne ha esultato con queste parole: «Che momento meraviglioso è questo. Non riesco neppure a dire quanta gente sia ultrafelice in questo momento. È un fatto enorme, enorme». Con Ultraviolet, si sono mobilitate anche la storica National Organization for Women (Now) e altri gruppi femministi e movimenti progressisti, come MoveOn.org, CREDO Action, Public Citizen e Campaign For America’s future.
«È una grande vittoria per l’ala democratica del Partito democratico», ha commentato Bob Borosage, portavoce di Campaign For America’s future. «Dimostra che i progressisti, con la leadership di senatori come Sherrod Brown, Jeff Merkley ed Elizabeth Warren, sono in grado di sfidare il controllo della politica economica da parte dell’ala del partito legata a Wall Street». Segue appello a Obama perché nomini Yellen, da cinque anni vice di Ben Baranke. Anche come prova di un effettivo spostamento a sinistra dell’asse della linea economica della sua amministrazione.
È una vicenda che mette di nuovo in luce il difficile rapporto tra Obama e la sinistra democratica. Il pragmatismo del presidente ancora una volta l’ha portato in rotta di collisione con una fetta importante del suo elettorato, quella che, peraltro, ha più voglia e capacità di farsi sentire. Di fronte alle difficoltà ancora notevoli dell’economia americana e mondiale, Obama preferiva Summers, che conosce e stima e del quale si fida e che considera il più adatto a fronteggiare le prossime sfide del dopo-Barnanke. Mentre, non avendo una conoscenza diretta di Yellen, ma basandosi sulla scarsa considerazione che di lei hanno i suoi più stretti collaboratori, non ha finora mai mostrato interesse per lei, che pure gode non solo del sostegno politico del mondo femminile e progressista, ma anche della stima di un nutrito e qualificatissimo elenco di accademici, tra cui Joseph Stiglitz, autori di un appello a favore della sua nomina. Al quale si aggiunge una netta presa di posizione da parte di diversi esponenti democratici di spicco
In una lettera al presidente, il mese scorso, un gruppo di sedici democrats esortava il presidente a nominare Yellen, mettendo in rilievo la sua esperienza di banchiera e ricordando l’allarme che lanciò, inascoltata, sui rischi imminenti di un’esplosione della bolla speculativa, quando era presidente della San Francisco Federal Reserve Bank.
Anche la stampa liberal è apertamente favorevole alla nomina di Yellen. Sul Washington Post Ezra Klein elenca «cinque buone ragioni perché Obama dovrebbe nominare Janet Yellen alla guida della Federal Reserve», la prima delle quali la sua indiscussa lunga esperienza all’interno e ai vertici della banca centrale che la rende «la più qualificata alla direzione della Fed nella sua storia»; la seconda, la sua previsione solitaria della crisi incombente già nel 2006; la terza, la sua attenzione al tema della disoccupazione; la quarta il largo consenso di cui gode, Wall Street compresa; la quinta ma non ultima, la sua nomina rappresenterebbe la rottura del «soffitto di vetro». Attualmente siedono 98 donne al congresso, venti della quali al senato, tre sono giudici della corte suprema e quattro in posti importanti dell’amministrazione Obama. Ma finora nessuna donna è arrivata ai vertici del potere politico-economico, come Tesoro e Fed.
Se Obama non vedesse la nomina di Yellen come una sua capitolazione e ascoltasse chi sostiene la sua candidatura, farebbe una scelta di valore storico.
@GuidoMoltedo
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