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Cuperlo: "Il Pd non diventi un uomo solo al comando"

Cuperlo: "Il Pd non diventi un uomo solo al comando"

Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria del Pd, oggi sarà a Genova alla Festa Democratica (ore 20). Cinquantadue anni, docente di comunicazione, presidente del centro studi del Pd e deputato, in passato considerato vicino a Massimo D’Alema e oggi punto di riferimento di uno schieramento più ampio, è ormai indicato come il principale avversario di Matteo Renzi al prossimo c’ingresso.

Cuperlo, Rosy Bindi dice che ormai, dopo aver ottenuto l’appoggio di Franceschini e della corrente di Area Dem, Renzi ha già vinto. Lei però resta candidato.

«Certo. Le competizioni dove il risultato sembra scritto sono spesso le più emozionanti e divertenti. Credo che questo congresso sia l’ultima occasione per mettere in sintonia il partito con gli elettori, i giovani, i nostri elettori che non sono andati a votare, ed è fondamentale che questo non sia un confronto fra nomi ma avvenga sulla base delle diversità tra piattaforme e punti di vista differenti. In questo modo potrà diventare una bellissima discussione, farci crescere».

Il congresso quando sarà?

«Io sto alle parole di Epifani. Tendo a credere alle cose che si dicono, quindi penso che il congresso sia il 24 novembre».

Anche in caso di crisi di governo?

«E’ ovvio che dobbiamo tenere conto del quadro politico generale. Ma spero che Letta non cada. Questo governo deve proseguire il suo cammino. Se il Pdl deciderà di interrompere il sostegno prenderemo atto di questa decisione assolutamente irresponsabile, e a quel punto sarà il Capo dello Stato a verificare se esiste una maggioranza che può ancora sostenere il governo».

Nel suo programma lei scrive che ogni riforma ha senso solo con la premessa «Mai più al voto col Porcellum». Anche in caso di crisi?

«E’ evidente. Solo chi non ha a cuore la democrazia può teorizzare di tornare al voto con questa legge elettorale, che in più occasioni ha dimostrato di non garantire al paese una maggioranza definita e una governabilità. Sarebbe ancora più grave farlo oggi, dopo aver verificato quali danni può produrre».

Cosa pensa dell’endorsement di Franceschini a favore di Renzi?

«Nulla, ognuno va dove lo porta il cuore».

Ed è d’accordo con Bersani, che sostiene che dietro questa alleanza non ci siano contenuti?

«Io voglio capire l’idea di partito che Renzi mette in campo, e spero che non sia quella dell’uomo solo al comando dei tempi di Fausto Coppi. Ripartiamo come partito se ricostruiamo un gruppo dirigente, un luogo di elaborazione e di confronto con il territorio che non sia solo il governo. Oppure non otterremmo un vero consenso popolare. E senza quello le riforme non hanno gambe».

Renzi a Genova ha parlato della sua idea di partito: leggero, con un luogo di elaborazione a livello parlamentare e una rappresentanza di sindaci come cinghia di trasmissione  con il territorio. Lei pensa a una struttura diversa?

«Sì. Un partito fortemente radicato sul territorio, come quello a cui penso io, non può vivere solo nelle istituzioni. Secondo me i circoli sono un aspetto fondamentale anche se devono essere completamente rinnovati ed utilizzando al meglio le possibilità delle nuove tecnologie. Ed è riduttivo ricondurre questa partecipazione alla consultazione sotto qualche gazebo, una volta ogni tanto. Con gli strumenti che esistono oggi si possono organizzare consultazioni periodiche degli iscritti, accogliere proposte e contributi sulla base delle conoscenze specifiche di ognuno. E va riscoperto anche il valore dell’iscrizione, dell’appartenenza al progetto comune».

Si ispira a Grillo, che utilizza la rete come strumento di elaborazione di proposte e consultazione?

«No, anzi quello mi sembra l’esempio meno convincente. La logica di Grillo è quella di un partito a forte caratterizzazione carismatica e plebiscitaria, un esempio che non abbiamo interesse a riprodurre nel Pd. Dal punto di vista comunicativo la sua è una logica unidirezionale: c’è un capo, e chi ha posizioni diverse non va ascoltato, in nome di una sana dialettica, ma va espulso come un corpo estraneo».

Lei nei giorni scorsi ha detto che il Pd non esiste senza una sinistra riconoscibile. Si riferiva al pericolo dell’alleanza tra Renzi e gli ex popolari di AreaDem?

«No il mio era una ragionamento più generale. Non penso affatto che la struttura del congresso debba riproporre le vecchie appartenenze. Dobbiamo insistere nella «mescolanza»di cui si era tanto parlato all’atto della nascita del Partito democratico. Il nostro futuro dovrà essere sempre di più un partito di «nativi», e intanto, in questo congresso, sono sicuro che vedremo una «mescolanza» di iscritti di diversa provenienza intorno ad ognuna delle candidature. Se non accadesse sarebbe una sconfitta. In ogni caso penso che i valori della sinistra siano tra i valori costituenti del Partito democratico».

Cosa pensa della sconfitta di Bersani?

«La sua era la campagna elettorale del Pd, non la personalizzerei. Non siamo riusciti a convincere una parte maggioritaria, abbiamo pagato in modo eccessivo in termini di voti il senso di responsabilità dimostrato nel sostegno a Monti anche dopo lo strappo del Pdl. Forse avremmo dovuto radicalizzare di più lo scontro con i nostri avversari, ma le considerazioni col senno di poi sono sempre semplici…».

Non c’è il rischio che questo accada di nuovo, con il sostegno a Letta e le larghe intese?

«Non credo, e questo per due ragioni. La prima è per la qualità del lavoro che la nostra delegazione sta facendo, mostrando di rivolgere attenzione alle emergenze sociali del Paese. Lo confermano gli interventi sulla cassa integrazione, sugli esodati, sulla scuola, la sanità, e penso che l’opinione pubblica lo abbia capito in modo chiaro. La seconda ragione è che se la destra tagliasse le gambe a questo governo se ne assumerà la responsabilità davanti al Paese. E credo che pagherà in termini di voti un prezzo alto».

Il voto su Berlusconi come finirà?

«E’ difficile aggiungere parole nuove. C’è un Pd unito, voteremo sì alla decadenza, e non perché vogliamo liberarci di un avversario politico, ma perché sono in gioco i principi di legalità e della separazione dei poteri. E’ una questione di principio».

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