Grasso: "Ma qui è sempre tangentopoli"
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- Pubblicato Venerdì, 06 Settembre 2013 09:25
Presidente Grasso, nessuno meglio di lei per la sua lunga storia di magistrato e per il suo attuale incarico istituzionale di Presidente del Senato può commentare i dati, impressionanti, della corruzione in Italia.
«Una cosa è certa: la corruzione è un reato contro la crescita economica perché produce un maggior costo delle opere pubbliche. In ogni caso con gli stessi finanziamenti se ne possono fare di meno o rimangono non completate o eseguite non a regola d'arte. D'altro canto, i soldi che invece percepiscono i singoli poi non vengono investiti in risorse per lo sviluppo e la ricerca o per nuovi investimenti, e comunque vengono sottratti all'imposizione fiscale e dunque il danno è doppio: il costo della corruzione, che ammonta a 70 miliardi di euro, è un costo che incide su tutta l'economia».
Noi parliamo di dati percepiti che, secondo lei, si avvicinano alla realtà?
«Se avessimo dati precisi avremmo già individuato l'oggetto della corruzione. La questione è che la corruzione si collega a tutta una serie di altri reati, i cosiddetti reati spia, come ad esempio il falso in bilancio, il falso in fatturazioni, il riciclaggio, l'evasione fiscale; sono tutti un compendio che va ad essere strumentale alla corruzione oppure in un rapporto di causa ed effetto».
Tangentopoli 1992-1994: 20 anni fa. l'Italia fu in preda ad una vera e propria rivoluzione giudiziaria, così la chiamò allora l'Economist. I magistrati non hanno perso potere da allora né le forze dell'ordine. I successi e lei ne sa qualcosa nella lotta alla criminalità organizzata sono stati notevoli. Ma come è possibile che vent'anni dopo ci ritroviamo al punto di partenza o, peggio addirittura del punto di partenza?
«Non si è usata quell'esperienza per trovare le contromisure. Sono diminuiti i controlli sia nella pubblica amministrazione sia più in generale. Alcuni reati sono stati addirittura eliminati come l'abuso in atti d'ufficio, l'interesse privato è stato ridimensionato e poi sí sono trovate delle contromisure per evitare il più possibile l'accertamento della corruzione».
Questa mi sembra una cosa molto interessante. Che significa esattamente, c'è stato un salto di qualità?
«Prima la corruzione era un reato monodirezionale nel senso che c'era un corruttore che dava del denaro e un corrotto che in cambio dava un privilegio, una distorsione della pubblica funzione. Adesso invece si è creata una sorta di rete circolare per cui gli scambi di vantaggi e di profitti sono riportati tra più persone in maniera circolare poi arrivano alla persona, al pubblico ufficiale che ha innescato la catena. E quindi succede che noi possiamo scoprire spesso degli illeciti arricchimenti, degli illeciti profitti ma non riusciamo a provare l'accordo, il collegamento con l'attività illecita del pubblico ufficiale e quindi non si raggiunge la prova del reato di corruzione».
E allora che dobbiamo fare?
«Bisogna cercare di avere nuovi strumenti per poter combattere questo fenomeno. Nella nuova legge che si è approvata, difatti, è stato introdotto un nuovo reato, il traffico di influenza, così come la corruzione tra privati. Non sono state però adottate delle contromisure come le sanzioni che possono consentire, ad esempio, gli accertamenti per arrivare alla prova come le intercettazioni telefoniche oppure interventi sui tempi di prescrizione che sono troppo brevi e quindi bisognerebbe riportare questi strumenti a delle misure e contromisure per poter meglio favorire le indagini. In Italia quando si vuole colpire veramente un fenomeno sappiamo come fare, così come fatto contro la criminalità mafiosa che, tra l'altro, si è spostata dal Sud al Nord e ha trovato, anche lì, un sistema favorevole: un sistema dove ci sono mazzette, prassi illecite amministrative, ci sono situazioni di scambio di favori anche dal punto di vista elettorale: lì la mafia trova una facile allocazione e si può infiltrare ancora meglio. Detto questo occorre, come si usa per la criminalità organizzata, la possibilità di avere collaboratori di giustizia, comunque persone che collaborino e facciano scoprire i fatti: tangentopoli è nata da tutta una serie di confessioni o di autoaccuse da parte di coloro che facevano parte del sistema. Bisogna riprodurre quella situazione. Naturalmente occorrono anche degli strumenti per indagini bancarie e patrimoniali approfondite, l'agenzia delle entrate si è già attrezzata sotto il profilo dell'accertamento fiscale ma occorre che anche la magistratura possa avere gli stessi strumenti in collegamento, in uno scambio informativo con l'agenzia delle entrate per fare emergere il sommerso che purtroppo è una palla al piede dell'economia italiana».
Il motore di tangentopoli come lei ha appena ricordato fu proprio la collaborazione delle persone. Poi a un certo punto questa collaborazione cessò o, comunque, furono molti di meno coloro che collaborarono. Perché successe questo e poiché immagino già la sua risposta la domanda successiva è: cosa si può fare, non solo dare più potere alla Magistratura e su questo siamo d'accordo, per incentivare le persone a collaborare di più, a dare più, e tornare a quei tempi?
«Le faccio un esempio. Nella precedente legge, la legge Severino, approvata contro la corruzione si è andati esattamente nella direzione opposta: mentre prima chi era indotto alla concussione era una vittima per induzione alla corruzione perché veniva spinto dal pubblico ufficiale a pagare quello che gli era dovuto ora hanno creato invece una figura, una sorta di mezzo complice, per cui quello che viene indotto a pagare per ottenere un favore, risente pure di una pena, minima, però non ha più la spinta a collaborare come parte offesa. Di fatto hanno bloccato la collaborazione delle vittime della concussione anziché procedere verso qualcosa di diverso e cioè incentivare e dare la possibilità a chi vuole uscire da questo sistema, perché spesso anche il corruttore non ottiene quei vantaggi promessi e quindi sarebbe ben disponibile a dire come sono andate le cose e però finché non troviamo un grimaldello per riuscire di nuovo a far emergere questa realtà, sarà difficile».
Per fare venire alla luce questa realtà bisogna dunque premiare chi collabora?
«Il mio progetto di legge, l'unico che ho potuto presentare nell'unico giorno in cui sono stato senatore, prende in esame questi problemi e quindi c'è un incremento della collaborazione e anche delle pene per la corruzione; non che le pene per la corruzione da sole aiutino, perché più aumenti la pena più cementi l'accordo, crei un interesse a non collaborare però è necessario che contemporaneamente all'aumento delle pene e ai termini di prescrizione, che vanno ripristinati, ci sia una norma premiale per chi vuole collaborare».
La legge sul pentiti del terrorismo a suo tempo aiutò a sconfiggere quel fenomeno, eppure fu una legge criticata perché rimetteva in libertà persone che si erano macchiate di orrendi delitti. Secondo lei si può pensare oggi a qualcosa del genere per combattere la corruzione?
«Non solo si deve pensare ma si deve adottare lo stesso sistema per cercare di ottenere quelle informazioni che servono, appunto, a far emergere questo rapporto che è un danno per tutta l'economia».
Ma secondo lei abbiamo la forza morale per reggere da chi avrà delle obiezioni?
«Il problema è anche etico e di professionalità ai vertici della dirigenza della pubblica amministrazione e ai vertici della dirigenza politica. Chiaramente, se l'uomo avesse un'etica e una morale tale da evitare tutto questo non ce ne sarebbe bisogno, ma siccome da che mondo è mondo da quando esiste l'uomo esiste la corruzione allora occorre intervenire. lo faccio spesso appelli, il più delle volte inascoltati, all'etica, ad una nuova politica, a un rinnovamento e della politica e della dirigenza burocratica che porti veramente a un futuro migliore per questo Paese».
References
- ^ L'Espresso (http)